1 MAGGIO: IL LAVORO È VITA, DIGNITÀ, GIUSTIZIA

01.05.2025
Il Primo Maggio non è solo una data sul calendario. È una ricorrenza che nasce dal sangue e dalla lotta di chi, ieri come oggi, ha creduto che il lavoro non dovesse essere sfruttamento, ma dignità. È la festa di chi lavora, di chi ha lottato per i diritti, di chi non smette di sperare in un futuro più giusto. È la festa della Costituzione, quella che all’articolo 1 proclama: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Ma quale lavoro, oggi?

Il lavoro, oggi, troppo spesso è precario, sottopagato, pericoloso. In Toscana come nel resto del Paese. Si muore ancora per lavorare. Solo nel 2024, nei primi tre mesi, oltre 200 persone hanno perso la vita sul posto di lavoro in Italia. In Toscana, i dati dell’INAIL parlano chiaro: decine di morti ogni anno, centinaia di infortuni gravi. E per ogni morto, c’è una famiglia distrutta, una comunità che perde un pezzo di sé. Si muore nei cantieri, nei campi, nei magazzini. E la politica? Spesso gira lo sguardo. Le leggi ci sono, ma mancano i controlli, manca la volontà, manca l’umiltà di mettersi dalla parte di chi rischia la pelle ogni giorno.

Non si può festeggiare il lavoro senza parlare di chi il lavoro non ce l’ha. I disoccupati, spesso umiliati, guardati con sospetto, accusati di essere fannulloni da una parte della società che ha dimenticato cosa vuol dire cercare lavoro per mesi, per anni, e non trovarlo. Politici, opinionisti, persino lavoratori e pensionati li giudicano con superficialità, dimenticando che la mancanza di lavoro non è una colpa, ma una ferita sociale. E non si può ignorare chi lavora senza tutele, senza diritti, in nero, sfruttato.

Il lavoro è anche famiglia. Senza un reddito stabile, senza sicurezza, una famiglia si sgretola, non nasce, non cresce. È persona, è libertà, è partecipazione. Non può esserci vera democrazia senza giustizia sociale, e non può esserci giustizia senza garantire lavoro vero, sicuro, dignitoso.

La Toscana, terra di civiltà e di lavoro, merita di più. Servono regole semplici e chiare, sì, ma soprattutto applicabili. Servono controlli severi, ispettori veri sul territorio, non solo sulle carte. Basta con i morti sul lavoro. Basta con la retorica delle “tragiche fatalità”: sono omicidi di sistema.

Questo Primo Maggio, ricordiamo chi non c’è più. Ricordiamo le madri e i padri che piangono un figlio partito la mattina per lavorare e mai tornato. Ricordiamo i giovani senza futuro, i cinquantenni lasciati a casa senza prospettive, i lavoratori invisibili.

E allora, gridiamolo forte:
il lavoro non è un favore, è un diritto. La sicurezza non è un lusso, è un dovere. Il rispetto non è un premio, è la base di ogni società giusta.

In un tempo in cui si dimenticano le parole forti, proviamo a ricordarne alcune:
“Chi lavora ha diritto a vivere, non a morire.”
“Una società che abbandona i suoi lavoratori, abbandona sé stessa.”
“Non c’è libertà senza dignità, e non c’è dignità senza lavoro.”

Che questo 1 Maggio lasci un segno. Nella coscienza di chi legge, di chi governa, di chi lavora. E che il futuro sia davvero fondato sul lavoro. Ma sul lavoro vero. Sicuro. Dignitoso. Per tutti.
Michele Interrante- Articolista
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