IL SACRO DELL'ASSENZA

08.09.2024
L’ho ascoltata, quella donna africana, appena strappata dal ventre del mare. La pelle ancora bagnata, le labbra tremanti di freddo e paura. Non ha detto molto, due frasi soltanto, ma sono bastate a spalancarmi il petto come una ferita antica che non smette di sanguinare. «Perché non ci salvate? Non avete bisogno di noi?» Le sue parole, semplici e quasi incredule, mi sono entrate dentro come una lama affilata. Ma è la seconda frase che mi ha scosso fino al midollo: *non avete bisogno di noi?* Era stupita, come se il nostro rifiuto fosse un mistero incomprensibile. Come se fosse impensabile che potessimo vivere senza di loro. Ed è proprio così. Io, io ho bisogno di te. Assolutamente. Perché tu mi ricordi qualcosa che qui abbiamo dimenticato. Qualcosa di sacro, qualcosa di essenziale.

Niente è compiuto. Nulla è fermo. Siamo tutti in viaggio, tutti trascinati da un fiume che non conosce soste né tregue. Ogni cosa fluisce, e questo movimento perpetuo ci consuma, ci strappa via un pezzo di anima ogni giorno, lasciandoci cicatrici che non possono guarire. Eppure, è in questo dolore che si spalanca la porta dell’assenza. Un'assenza che non è vuoto, ma una presenza diversa, nascosta, che va oltre ciò che possiamo toccare o vedere. Siamo condannati a vivere nel frammento, nell’ombra delle cose, ma è proprio lì che risiede la magia.

E sì, ci vuole la magia. Non quella dei prestigiatori, ma quella che si nasconde nelle pieghe del quotidiano, nei gesti semplici che abbiamo disimparato a vedere. Se perdiamo questo incanto, se smettiamo di cercarlo, allora davvero siamo finiti. Ma ci sono ancora maestri, se vogliamo imparare. I felini lo sanno, lo ha sempre saputo quel gatto che passa, silenzioso e distaccato, con il suo passo leggero. Appena lo vedi, tutto cambia. Il mondo si riscrive, le ombre si fanno meno cupe, gli angoli si ammorbidiscono. Quel gatto ci ricorda che c’è sempre un’altra dimensione, un’altra prospettiva, e noi siamo chiamati a seguirla, a non restare fermi.

Perché il sacro non è quello che immaginiamo. Non è solenne, non è grandioso come i rituali che abbiamo costruito. Il sacro è il gioco sfuggente della vita, che ride di noi mentre cerchiamo di afferrarlo. È imprendibile, sempre un passo avanti, e ci sfida, ci chiede tutto. Non possiamo tenerlo tra le mani, ma possiamo viverlo, lasciarlo fluire attraverso di noi. È in questo viaggio, in questo eterno passaggio, che troviamo la risposta alla domanda di quella donna.
Michele Interrante- Articolista
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