ITALIA,TRA MULTINAZIONALI E PICCOLE IMPRESE: UN PAESE IN VENDITA O IN ATTESA DI RIFORME?

26.01.2025
Di Michele Interrante 

La recente invettiva di Michetti ha il merito di accendere i riflettori su un problema che da anni mina la solidità economica e sociale del nostro paese: il progressivo declino della piccola e media impresa (PMI), storica spina dorsale dell’economia italiana, e il peso crescente delle multinazionali nel tessuto produttivo. 
"L'intervista di Enrivo Michetti su Radio Radio:
La politica deve essere elemento di regolazione dei mercati. 
Se affidi tutto il mercato alle multinazionali, tu hai ucciso quello che era l'asse portante dell'economia italiana in termini di genialità, intraprendenza,qualità.

La piccola è media impresa quella che ha dato i grandi marchi è stata completamente distrutta dall'assenza della politica nazionale degli ultimi 40 anni che ha fatto solo baratto e se Graci e Andreotti non ci stanno più, probabilmente è perché avranno fatto tante nefandezze, ma il paese non lo avrebbero mai venduto alle multinazionali. 

Le multinazionali che decidono ora per tutti.
Ora parlano di umanità, ma a quel tempo Craxi aveva il diabete a un milione, non camminava più, era un poveraccio che stava in una terra dove non si poteva curare. Nemmeno un gesto di umanità, doveva rientrare in catene. 

Oggi gli stessi lo elogiano.
Craxi insieme a Pannella, gli unici che volevano salvare Moro. Ora in molti definiscono Craxi l'ultimo grande statista. Gli stessi che appartenevano a quel partito e che lo hanno voluto in catene. Quale messaggio hanno dato se non quello che asservirsi al potente.

Ci sono partiti che sono passati da Mosca a Washington. Servitori erano di Mosca e servitori sono di Washington. Senza dignità purtroppo, è quelli che all'interno di quei partiti avevano una dignità sono stati accantonati, perché c'è bisogno solo di mercenari purtroppo e poi questi mercenari hanno addirittura la faccia tosta di dettare la morale. 

Venduti, gente che si è venduta il paese, si è venduta l'anima, pur di farsi chiamare deputato, senatore, presidente. Questo oggi è il nostro paese fatto di piccoli uomini senza dignità, senza mestiere che stanno li per caso e che fanno soli danni. 

E poi dicono di un debito pubblico stellare, e certo prendono i soldi dalla povera gente che se li è sudati e li spendono neanche non sanno come.

Questo è un paese che ha bisogno di riforme strutturali, ma che da 40 anni non si fanno, e non si fanno perché per rifare le riforme strutturali bisogna avere amore per il paese, poco amore per la propria carriera, perché nessuna buona azione rimarrà impunita, bisogna avere un'alta soglia di rischio, bisogna avere competenze, capacità, qualità e assumersi delle responsabilità. 

Oggi i comuni che funzionano bene e perché hanno uomini capaci che si caricano sulle loro spalle il Comune e non c'entra niente destra e sinistra, questi sono ormai cartelli stradali.

Purtroppo globalmente la nave Italia imbarca tanta di quell'acqua che si va a fondo. Noi dobbiamo fare rifunzionare il nostro intelletto".

Tuttavia, per trasformare una denuncia in un punto di partenza costruttivo, è necessario analizzare lucidamente i problemi e proporre soluzioni concrete.

La PMI, cuore dell’economia italiana, in crisi

Le PMI rappresentano il 99,4% delle imprese italiane e impiegano circa il 77% della forza lavoro del settore privato (ISTAT, 2023). Nonostante ciò, negli ultimi quarant’anni queste aziende hanno visto progressivamente ridursi il proprio ruolo strategico. Dal 1980 a oggi, il loro contributo al PIL è sceso dal 55% al 43%, con molte realtà soffocate dalla burocrazia, dall’accesso limitato al credito e dalla competizione globale.

Questi numeri raccontano di un paese che ha dimenticato le sue radici economiche. Marchi un tempo simbolo del Made in Italy sono stati acquisiti da grandi gruppi internazionali: basta ricordare la cessione di Bulgari, Gucci e Parmalat. La globalizzazione ha aperto le porte a investimenti stranieri, ma ha anche messo a rischio la capacità dell’Italia di mantenere il controllo su settori strategici.

La politica: assente o complice?

Michetti punta il dito contro una politica nazionale assente, incapace di proteggere l’economia locale. E non si può dargli completamente torto. L’Italia è al 24° posto su 27 nell’indice europeo di competitività (Commissione Europea, 2022), e l’inefficienza della burocrazia è una delle principali lamentele degli imprenditori. Servono in media 238 giorni per ottenere un permesso di costruzione in Italia, contro una media UE di 169 giorni (Doing Business Report, 2022).

Tuttavia, la colpa non può essere attribuita esclusivamente alla politica nazionale. La retorica nostalgica secondo cui "Craxi e Andreotti non avrebbero mai venduto il paese" rischia di semplificare eccessivamente il problema. La politica degli ultimi quarant’anni, pur con errori e mancanze, ha dovuto affrontare sfide globali complesse: dalla crisi del debito degli anni ‘80 alla necessità di rispettare i parametri di Maastricht.

Multinazionali: nemiche o risorsa?

L’idea che le multinazionali siano il nemico assoluto è altrettanto discutibile. Molte di esse hanno contribuito all’innovazione, all’occupazione e alla crescita economica. Un esempio positivo è rappresentato da aziende come Ferrero, che, pur essendo cresciuta su scala globale, mantiene una solida base produttiva in Italia.

Il problema è l’assenza di regole chiare e di una politica industriale che imponga alle multinazionali di rispettare il tessuto locale. In Francia, ad esempio, l’acquisizione di aziende strategiche è soggetta a un controllo rigoroso da parte dello Stato, un modello che l’Italia dovrebbe adottare per evitare che interi settori vengano depauperati.

Le proposte: dal dibattito alla concretezza

Se la critica è legittima, il passo successivo deve essere quello delle proposte. L’Italia non può permettersi di continuare ad arrancare. Ecco alcune riforme essenziali per invertire la rotta:

1. Semplificazione burocratica per le PMI:
Ridurre drasticamente i tempi per le autorizzazioni e digitalizzare i processi amministrativi. La Germania, con un sistema burocratico snello, permette di aprire un’attività in 8 giorni, contro i 29 giorni necessari in Italia.

2. Accesso al credito agevolato:
Creare fondi garantiti per le PMI, soprattutto per quelle innovative, con un focus sulle aree più colpite dalla crisi economica. Nel 2023, solo il 35% delle PMI italiane ha dichiarato di avere accesso sufficiente a finanziamenti bancari (Banca d’Italia).

3. Protezione dei marchi storici:
Istituire un fondo sovrano che tuteli le aziende strategiche del Made in Italy da acquisizioni ostili, sul modello francese. Questo permetterebbe di preservare l’identità economica nazionale.

4. Incentivi fiscali per il reshoring:
Premiare fiscalmente le aziende che riportano la produzione in Italia, creando lavoro e rilanciando il manifatturiero. Secondo Confindustria, il reshoring potrebbe generare fino a 70.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030.

5. Norme vincolanti per le multinazionali:
Stabilire regole che obblighino le multinazionali operanti in Italia a reinvestire una quota significativa dei profitti nel paese, garantendo al contempo standard elevati per i lavoratori.

Un futuro da costruire

L’Italia si trova di fronte a una scelta: continuare a navigare a vista, perdendo pezzi della sua identità economica, o adottare politiche coraggiose che tutelino le PMI e regolino il ruolo delle multinazionali. La strada non è facile, ma ignorare la situazione porterà solo a un ulteriore declino.

Come ha ricordato Michetti, per fare le riforme servono competenze, coraggio e amore per il paese. E, soprattutto, serve una classe politica capace di guardare oltre i propri interessi personali. Il futuro dell’Italia dipende da questo.
Michele Interrante- Articolista
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